22 LUGLIO 2017
Talvolta le percezioni superano le aspettative iniziali. Ed è ciò che è avvenuto con l’ascolto dell’album Into the Void dei Mind Affliction, band di Cracovia (Polonia) sorta nel 2009, dedita ad
un furioso death metal con sfumature black, i cui membri sono tutti coinvolti in altre realtà dell’underground estremo. Le capacità tecniche di Dawid Adamus (batteria), Kamil Poręba (chitarra),
Krzysztof Chomicki (screaming vocals/basso) e D. (al secolo Dariusz Zabrzeński, voce e chitarra) seppur non eccelse, sono indiscutibili. Into the Void, realizzato nel 2016, è il secondo lavoro
sulla lunga distanza per il combo polacco, preceduto da Pathetic Humanity del 2013, full-lenght molto più incline al black metal, specialmente nel riffing; e da una demo in tiratura limitata del
2011, Mental Disorder, rilasciata solo su tape. L’album è stato pubblicato tramite l’ucraina Metal Scrap records, label discretamente attiva e già promotrice di interessanti realtà come Aruna
Azura e Deathember Flower.
Il primo brano Lucid Void, senza alcuna intro, costituisce una partenza micidiale per il disco, un classico brano death metal di scuola americana e, ovviamente, polacca in cui si alternano
blast-beat a brevi rallentamenti. Il growling di Zabrzeński è efficace ma mai eccessivamente gutturale, come accade invece nella recente scuola brutal. In chiusura troviamo alcuni fraseggi
chitarristici ben riusciti dal lato della scrittura, ma evidentemente non altrettanto dal lato della realizzazione, per via di uno strano sound di chitarra, quasi “nasale”, che è a dir poco un
pugno nell’occhio. Dopo questo primo pezzo, sorgono nell’ascoltatore ovvi paragoni con i connazionali Vader e Trauma, nonché con gli statunitensi Immolation. In alcuni frangenti, tornano alla
mente anche alcune soluzioni di Zos Kia Cultus dei Behemoth, in chiave più immediata e meno “ritualistica”. La seconda song Enjoy the Violence, come il titolo lascia intendere, è ancor più
aggressiva della precedente, seppur si muova sugli stessi binari stilistici. Il salto di qualità arriva al terzo squillo, Sundraft, una suite lunga ben 8 minuti, che tuttavia non stanca mai. Si
parte questa volta con un basso pulsante ben in evidenza, volto a creare un tappeto atmosferico, per poi proseguire con il brano vero e proprio, mediamente cadenzato e molto affascinante.
Sundraft lascia trasparire molto di più l’influenza dei Behemoth, tant’è che è facile riscontrare un songwriting che attinge senza remore dal capolavoro del 2009 Evangelion. Il brano seguente,
Chaos Readings, si muove lungo le stesse coordinate. L’arpeggio iniziale questa volta è di chitarra, ed il brano, seppur più breve, è la naturale prosecuzione di Sundraft, grazie al suo piglio
melodico e cadenzato. Avviandoci verso la conclusione dell’album, troviamo Madness Utopia, dove il combo dell’est torna a pestare, come si addice ad una death metal band, e dove, a parere del
sottoscritto, si riscontra il miglior lavoro alle chitarre presente in tutto il full-lenght. Il sesto, e penultimo, brano è quasi sorprendente ed inaspettato. Sia l’introduzione, che il titolo
stesso (Abandoned), sembrano teletrasportare l’ascoltatore in territori depressive black metal, per via di un arpeggio distorto, riverberato e malinconico che altro non è se non una soluzione
cara a band come Happy Days, Lost Inside et similia. L’asse portante di Abandoned è ovviamente più confacente al sound naturale espresso dalla band, tuttavia un’aura oscura permea il brano fino
alla conclusione. Con la settima ed ultima Armin’s Hunger, Into the Void si chiude nella stessa maniera in cui era iniziato: un assalto all’arma bianca dove il blast la fa da padrone.
A conti fatti, i ragazzi nati all’ombra del Wawel hanno realizzato un disco di pregevolissima fattura, che non offre sostanzialmente nulla di originale, ma che non può non essere apprezzato dagli
amanti di queste sonorità. Li attendiamo alla fatidica prova del terzo album.
Luigi Scopece
88/100