Gli Of Fire sono un gruppo svedese con due album all'attivo, "Carnage Fever", registrato nel 2012 e "Death Do Us All", del quale oggi andremo a parlare, rilasciato
alla fine del 2016 dopo diversi anni di tour nazionali ed europei. Arrivati alla loro seconda pubblicazione, il genere proposto dal gruppo è facilmente intuibile sia dal loro stesso nome sia dal
titolo di questo lavoro: "Death Do Us All" è Death Metal nel suo stato più puro, violenza ed aggressività musicale dall'inizio alla fine, distorsione a livelli estremi (forse quasi disturbanti, a
dire la verità) e riffoni davvero molto ben composti. Il ritmo dei brani non è assolutamente veloce ma al contrario piuttosto cadenzato e lento ed è sorretto da melodie oscure che creano
un'atmosfera di forte opprimenza, proposta in maniera davvero solida ed efficace. La componente dell'originalità forse non è alle stelle ma, anche con le poche note e riff che questi ragazzi ci
fanno sentire, l'album riesce a lasciare il segno, facendoci immergere in un mondo in rovina e al collasso, nel quale l'atmosfera di disperazione che trasuda da tutte e otto le tracce è la vera
protagonista. Nel raggiungimento di questo obiettivo, "Death Do Us All" può essere infatti considerato come un piccolo gioiello.
I problemi però risiedono nella forte mancanza di varietà dei pezzi e in generale della parte strumentale: a lungo andare, infatti, arrivati agli ultimi due brani,
la ripetitività si fa sentire e si ha la sensazione di aver già ascoltato tutto quello che il gruppo aveva da offrire. Questo forse è anche ingigantito dal ritmo stesso del disco, il quale va
progressivamente a calare di velocità dalla quarta canzone in poi; ciò crea un effetto di amalgama nella seconda parte dell'album, facendone così risultare i pezzi molto simili fra
loro.
Il disco parte, infatti, abbastanza tirato, anche se probabilmente in maniera meno ispirata rispetto al suo prosieguo, con "Monster" e "Straight From the Grave" che
risultano i pezzi più dimenticabili dal punto di vista compositivo (per usare un termine cattivo). Il migliore combo di brani è quella che va da "Scavengers" (personalmente la mia preferita) a
"Pestilence" ed è anche quella in cui le canzoni cominciano a diventare molto più cadenzate rispetto a prima (sopratutto a partire da "Ell Helvete"). La successiva "Burden" (canzone molto lenta,
quasi d'ispirazione doom metal) è di per sé molto buona ma purtroppo non offre alcuna novità sonora rispetto alle precedenti tracce.
La più deludente, sotto questo aspetto, è tuttavia la conclusiva "World Decomposing": nonostante un'interessante intermezzo strumentale nella parte centrale del
pezzo, i riff sanno tanto di già sentito e già usato; in più, nel corso dei suoi undici minuti, la struttura non si evolve quasi per niente e il tutto diventa incredibilmente difficile da
ascoltare, risultando quasi in una ripetizione della stessa parte ancora e ancora. Peccato, perché una qualche evoluzione negli ultimi brani avrebbe portato un po' di aria fresca al disco, che
sarebbe risultato di ben più facile ascolto.
In conclusione, "Death Do Us All" riesce molto bene nel suo intento di creare un'atmosfera di forte decadenza e disperazione, ma, come detto, al tempo stesso
fallisce nel proporre canzoni che abbiano una loro identità ben definita, in particolar modo nel finale.
Jacopo Nardini
66/100